Da un altro mondo

 

Da un altro mondo
Stefano Zampieri

Una giovane coppia intraprende la ricerca di Sambo, un amico scomparso, in un viaggio che li porterà ad esplorare luoghi insoliti e situazioni apparentemente irrazionali, accompagnati da uno strano medaglione dalla simbologia misteriosa. La loro ricerca si concluderà con una promessa per il futuro: il loro, ma anche il nostro. Tra giallo e fantascienza, un romanzo filosofico che mette in scena, sottotraccia, l’eterno conflitto tra vecchi e giovani, tra reazione e speranza. Per scoprire che esistono altri mondi oltre a quelli che riusciamo a concepire.


La ricerca di un uomo che proviene da un altro mondo e la scoperta degli universi presenti nel nostro.

 

L'INIZIO

Era un venerdì di agosto. E agosto, non aprile, è il più crudele dei mesi.

 

 I resti della barca ondeggiavano abbandonati nell’acqua come un pesce morto. Io e Sara ammutolimmo. Ma il punto di sospensione era troppo piccolo, riuscimmo a restare lì entrambi, immobili, solo per pochi secondi. Provammo a ricostruire la scena delle possibilità, l’evento più attendibile. Forse una mareggiata. In un canale? Non era probabile, e poi poco lontano si vedevano altre barche non più grandi né più solide, che pur tranquillamente galleggiavano. Forse Sambo l’aveva abbandonata. Forse qualcuno l’aveva affondata di proposito. Ma perché? Per fargli un dispetto? No, lui non aveva nemici, era un solitario, un uomo tranquillo, che non dava fastidio a nessuno. La barca era affondata e Sambo era sparito. Tutto qui. A maggior ragione il fatto non si spiegava.

Che cosa è successo? chiese Sara preoccupata. Io non potevo rispondere, ammutolito com’ero di fronte a quella scena. Mi ripresi soltanto alle sue insistenze. Lei mi implorava di fare qualcosa, fare qualcosa subito. Ma io riuscivo soltanto a guardarmi intorno. Vidi le altre imbarcazioni lungo il canale, vidi il filare di pioppi che seguiva l’argine, vidi, vicinissimo l’orizzonte della città ma non trovai una risposta, né mi sovvenne un gesto utile da fare, e nemmeno mi riuscì d’individuare qualcuno cui rivolgermi. Pareva che lì, in quel momento, la vita si fosse fermata. Come se l’improvvisa sparizione di Sambo avesse per un attimo congelato la realtà fissandola su quel fatto che non ci riusciva di comprendere e che non sapevamo come spiegare. Tutto fermo, immobile, in attesa di un senso. Naturalmente non era così, perché la storia non si ferma, scivola via e travolge tutto con la forza ostinata di un vento caldo. Spesso ad agosto soffiano caldi venti ostinati.

 

Con lo stesso vento, forse, giunsero inaspettatamente due messaggeri. Scesero dalla loro auto poco lontano, armeggiando con un motore. Ci avvicinammo mentre gettavano la passerella sulla poppa di un’imbarcazione. Chiesi se conoscevano il vecchio della barca laggiù. Sulle prime non ci concessero la loro attenzione: appartenevano a quella specie umana che considera la diffidenza come regola e la confidenza come rara eccezione. Riformulai la domanda con un tono di voce più alto. Non potevano far finta di non avermi sentito. Quale barca? rispose il più giovane dei due. Quella affondata, dissi io cercando di sottolineare le mie parole con un gesto eloquente del braccio. L’altro, quello un po’ più maturo, con un’aria non meno distratta sembrò tuttavia ricordare qualcosa. Vidi che nei suoi occhi passava rapidamente un’immagine che gli scivolò poi tra le labbra in un borbottio che evocava un vecchio con la pipa sempre in bocca. Osservando quell’ectoplasma alzarsi dall’umido del fiume, anche il compare si sentì in dovere di confermare.

 Cercai di approfittarne chiedendo se sapevano che cos’era successo, e come mai la barca era affondata, e lui, il vecchio, dov’era.

I due si guardarono cercando le risposte alle mie domande. Ma non sapevano molto, la barca doveva essere andata a picco con l’ultimo maltempo, ma faceva acqua da un pezzo. Non se ne occupava più nessuno. Parlava il più vecchio ma l’altro confermava annuendo e borbottando qualcosa.

Io mostravo segni d’agitazione. I due si accorsero del mio stato di ansia, ma non fecero molto per darmi una mano. Dissero soltanto che il vecchio non si vedeva da un bel po’. D’altra parte era uno che non dava molta confidenza. Il giovane confermò con un’alzatina di spalle. Possibile che non ne sapessero proprio niente? Che non avessero sentito qualcosa in giro…

 In effetti, forse qualcosa avevano sentito, giù al bar. Io premevo per saperne di più. Ma loro avevano fretta. Uno dei due disse che il vecchio era malato, che era andato all’Ospedale. Almeno credo. E buttò lì con noncuranza ciò che per noi era tanto prezioso.

Io e Sara ci guardammo negli occhi. Colto al volo il punto chiave, avrei voluto maggiori dettagli. Ma il più giovane già mostrava di considerare conclusa la conversazione e il più10 vecchio gli dava ragione. Tornarono a occuparsi delle loro faccende. Risollevarono il motore e si avviarono faticosamente alla loro imbarcazione attraverso la passerella traballante. A quel punto noi non esistevamo già più e la conversazione non poteva avere ulteriori sviluppi.

Io e Sara restammo interdetti e preoccupati a riflettere sul da farsi. L’Ospedale? Non riuscivo a capacitarmi. D’altra parte così avevano detto quei due. Era da crederci? Fosse stata la verità, le cose avrebbero acquistato un senso. O almeno una prima parvenza di senso. Ma in una situazione del genere non c’è molto da pensare. Realizzammo dopo qualche secondo d’incertezza che dovevamo andare subito all’Ospedale.

La giornata era limpida, il cielo terso, agosto, il più crudele dei mesi, si stava compiendo attraverso un’imprevedibile assenza. Sambo era sparito.



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