Anticipazioni incredibili: la fantascienza di Leibniz

 


Ci sono narrazioni che hanno origini antiche. Ci sono pensieri che sono già stati pensati. Ci sono problemi che si sono posti in molti momenti e che hanno ricevuto risposte nella forma della narrazione prima che in quella della argomentazione. Anche da parte di grandi filosofi per nulla propensi alla letteratura. È il caso di questo breve formidabile brano tratto da un’opera di pura metafisica, la Monadologia (1714) di Leibniz. Qui il filosofo è impegnato a dimostrare che il mondo delle idee delle percezioni, della sensazioni non è prodotto del cervello che viceversa è solo un apparato meccanico. Il suo intento cioè è quello di mostrate l’assoluta distanza tra i due mondi, quello materiale meccanico e quello spirituale di ordine del tutto diverso.

“D’altronde bisogna ammettere che la percezione e quello che ne dipende sono inesplicabili mediante ragioni meccaniche, cioè mediante figure e movimenti. Se immaginiamo una macchina costruita in modo che pensi, senta, percepisca, si potrà  concepire che venga ingrandita conservando le medesime proporzioni, in modo che vi si possa entrare come in un mulino. Ciò fatto, nel visitarla internamente non si troverà altro che pezzi, i quali si spingono scambievolmente e mai alcuna cosa che possa spiegare una percezione. Cosicché questa bisogna cercarla nella sostanza semplice e non nel composto o nella macchina. Reciprocamente, non altro che le percezioni e i loro mutamenti si possono rinvenire nella sostanza semplice. In essi soltanto possono consistere tutte le azioni interne delle sostanze semplici.”

[Leibniz, Mondadologia, art. 17]

Ecco, è di già la trama di un racconto fantascientifico: questo cervello ingigantito nel quale si può entrare come si entrerebbe in un mulino per osservarvi le parti  funzionanti, i meccanismi, gli organi, senza per alltro riuscire in questo modo a risolvere il probema delle percezioni, del fatto che ciò che è fuori di noi ed è sensibile, si trova poi in noi in termini appunto di sensazione del caldo del freddo, del dolore ecc...

 Sulla stessa scia del radicale dualismo corpo anima, Leibniz, nello stesso testo, immagina l’essere umano come un automa di una qualità però diversa da quella degli automi costruiti dagli uomini. Evidentemente Dio è costruttore ben più sapiente dell’uomo. Qui comunque appare evidente il tema dell’automa e molti possibili problemi che si possono porre e che si porranno nella narrativa fantascientifica di qualche secolo dopo.

“Così il corpo organico d’ogni vivente è una specie di macchina divina o d’automa naturale che sorpassa infinitamente qualunque automa artificiale. Infatti una macchina costruita dall’arte umana non è macchina in ciascuna delle sue parti; per esempio, il dente di una ruota d’ottone consta di parti o frammenti che non sono più nulla di artificiale, e non hanno più alcuna cosa che conservi i caratteri della macchina, relativamente all’uso a cui la ruota era destinata. Ma le macchine della natura, cioè i corpi viventi, sono ancora macchina nelle loro minime parti, fino all’infinito. In questo è riposta la differenza tra natura e arte, cioè tra l’arte divina e la nostra.”

[Leibniz, Mondadologia, art. 64]

 L'automa costruito dall'uomo è fatto di parti che sono meccanismi fino ad un certo punto, e poi diventano sostanze semplici ferro, metallo, fibra di lana, vetro, pietra...elementi della natura;  invece quel particolare automa che è proprio l'essere umano è costituito di parti artificiali fin nella più piccola cellula. Evidentemente Dio è costruttore molto più raffinato di qualsiasi artigiano.

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